Palazzo Ferrante

Filippo Ferrante (1783-1845), ebbe un figlio, Giacinto (18291868) che divento Sindaco di Morino, cosi come Antonio Ferrante (1786 -1869), il più politico della casata, fu il primo Sindaco di Civita d’Antino dell’Italia unita, nel 1861, per decreto del Re Vittorio Emanuele II’. Antonio, sposo due volte con donne di Luco dei Marsi (Maria Ercole) e di Alvito (Maria Panicoli Rossi) e dedico la sua vita agli affari politici senza tralasciare l’amministrazione del patrimonio familiare. Si occupo degli affari privati del Re Francesco I’ di Borbone per l’intera provincia di Napoli. “Questo spiega la ragione per cui il figlio, Ferdinando II; il 12 luglio 1832, fu ospite in Civita d’Antino. A ricordo della visita, il Re concesse il privilegio dalla catena di ferro che ancora esiste dinanzi il portone deI Palazzo Ferrante “. (15) Nell’aprile del 1832 Antonio Ferrante viene nominato, per decreto reale, Presidente della Commissione Distrettuale di Avezzano; organismo che doveva segnalare alle rispettive autorità i bisogni e desideri della popolazione del Distretto. Il corpo elettorale della Marsica lo elesse deputato al Parlamento Borbonico del 1848 e più tardi, in seguito ai tumulti del maggio dello stesso anno che indussero Ferdinando II’ ad indire nuove elezioni, venne rieletto nel Collegio di Avezzano. Ma, qualche settimana dopo, il 10 luglio, Antonio Ferrante rassegno le dimissioni motivandole per ragioni di salute, cosa non esattamente vera poiché, in realtà, era in forte contrasto con il Re. Ormai si era convinto che l’unita dell’Italia non solo era inevitabile ma anche necessaria. Antonio, nella sua lunga vita, 83 anni ben portati sino alla fine, ospito nel Palazzo di famiglia una lunga schiera di artisti, intellettuali, uomini di cultura e scienza, italiani e stranieri, e grazie alla loro opera, portata a compimento sotto la paterna ospitalità di Antonio Ferrante, oggi si conservano parecchie testimonianze sulla storia di Civita d’Antino.

Di Emilia Ferrante (1825 ? ) che contrasse matrimonio a Sora con Pietro Bastardi, ci parla il Mommsen nel suo “Corpus” in cui ricorda il suo grande interessamento per l’archeologia. Poi seguono: Domenico Ferrante (1829-1914), tenuto a battesimo da Carlo Morichini, che poi divenne Cardinale di Santa Romana Chiesa e che era figlio del grande Domenico Morichini (16); Manfredo Ferrante (1819-1881), il cui matrimonio con Caterina Decy fu celebrato nella Cappella della S.S. Concezione dal Vescovo di Sora di allora, Mons. Giuseppe Pontieri, cosi come accadde con il matrimonio di Luisa Ferrante (1860-1933) con l’avvocato Matteo Marinaci, celebrato dal Cardinale Ignazio Persico. Finalmente dobbiamo ricordare, seppur brevemente, Enrico Ferrante (1861-1943), Sindaco di Civita d’Antino per molti anni e Filippo Ferrante (1862-1915), Pretore onorario di Civitella Roveto, morto in un albergo di Avezzano la notte del 13 gennaio 1915, giorno del grande terremoto. Le donne della casata Ferrante di cui esiste qualche notizia, non sono molte; alcune di esse, fra il 1690 e il 1870, diventarono religiose: Ippolita (1690 -?), Egizia (1722-?), Costanza (1756-1812) e Giacinta (1815-1870). Esistono alcune notizie su altre dieci donne, sposate o nubili. Un’altro dato importante riguarda invece i 9 maschi che tra il 1645 e il 1896 divennero preti. Fra loro spiccano tre: Padre Giuseppe Ferrante (1754-1803) che divento Direttore del prestigioso Collegio Capranica di Roma; Monsignore Aniceto Ferrante (1823-1883) consacrato Vescovo di Gallipoli e Padre Francesco Ferrante (1818-1896), Provinciale dei Gesuiti per la Provincia di Napoli. Su 28 Ferrante, discendenti diretti del capostipite Domenico, vissuti tra il 1610 e il 1977, l’età media risulta molto elevata: 70 anni. I casi più longevi, con 80 o più anni di vita, sono 11. Due superarono i 90 anni: Filippo (16871781) e Alessandro (1718-1808).

Resta per approfondire una questione più generale, e cioè, il rapporto di queste persone con la popolazione di Civita d’Antino, con le sue istituzioni e con la sua vita socio-politica nonché economica-culturale, rapporto che si protrae sino ai giorni nostri nella persona e famiglia di Filippo Ferrante. Quello squisitamente culturale appare come il meno problematico e il giudizio complessivo, per quanto siamo riusciti a capire e altamente positivo e lusinghiero per i Ferrante. E’ evidente che dettero un grande contributo alla conoscenza del passato storico di questa cittadina e senza l’opera molteplice di molti di loro, i “silenzi” civitani sarebbero ancora parecchi. Tra l’altro, ascoltando molte testimonianze orali degli attuali civitani, ciò traspare in modo limpido e affettuoso, con qualche dubbio, qua o la, per quanto riguarda la fine che hanno fatto tanti beni artistici (dipinti, statue, libri, documenti, ecc.) che, ovviamente nessuno contesta come legittimamente appartenenti alla casata. Si tratta piuttosto, mi sembra di aver capito, di una sorte di nostalgia nel senso di aver preferito che restassero presso il Palazzo da dove, per motivi di proprietà, eredita, dono, ecc. sono usciti prendendo altre strade. Per quanto riguarda invece l’ambito dei rapporti economici, essendo stati i Ferrante i più grossi proprietari terrieri del luogo, resta un ricordo ambivalente come accade spesso in questi casi: da un lato la gratitudine dovuta ai datori di lavoro, con l’indiscussa riconoscenza, che raggiunge anche la dimensione politica, per quanto la famiglia Ferrante fece in favore del progresso materiale e la crescita del paese; d’altro lato serpeggiano ricordi meno grati per quanto riguarda l’esercizio del potere economico della casata nei confronti dei diritti salariali, sindacali o sociali. Ad ogni modo, un vera ricerca su queste materie, e certamente non e questo il nostro scopo in questo libro, dovrà tener sempre conto delle condizioni storiche del momento.

Sarebbe errato e ingiusto giudicare questo passato con i criteri dell’odierna realtà come errato e ingiusto sarebbe che domani, fra 100 o 300 anni, le nostre civiltà d’oggi venissero giudicate con parametri del 2100 o del 2300. Ogni momento della storia ha le sue coordinate per essere capito e quindi nessuna estrapolazione di fatti ed avvenimenti dal suo contesto spazio-temporale appare corretta e legittima. Sono questi i principi normativi che dovrebbero guidare anche, e soprattutto, un’approfondita ricerca per quanto riguarda l’aspetto forse più centrale di questi rapporti, vale a dire, l’ambito politico. Civita d’Antino ha avuto due Sindaci usciti dalla casata Ferrante. Addirittura, il suo primo Sindaco, come in precedenza accennato, dal giorno dell’unita d’Italia e stato un Ferrante per nomina del Re. In questo campo, volente o nolente, subentrano in modo più palese, anche se a volte mascherate, considerazioni di parte, di appartenenza a gruppi politici che a Civita d’Antino, come altrove, si sono dati battaglia nella dialettica democratico-elettorale. Nella prospettiva politico-elettorale, ma anche in altre di tipo economico, sociale o culturale, va ricordato che non sarebbe giusto prendere i Ferrante come un gruppo omogeneo in cui tutti hanno pensato e agito allo stesso modo; anche tra i tanti discendenti del capostipite Domenico, lungo quasi cinque secoli, sono esistenti divergenze di veduta e di opinioni e non tutti hanno avuto gli stessi comportamenti. Basti ricordare che fra loro ci sono stati convinti assertori della monarchia e, al tempo stesso, uomini che con la monarchia hanno rotto, e altri ancora sostenitori dell’unita d’Italia, oppure repubblicani.

Il Palazzo Ferrante

Abbiamo già detto che la storia della casata Ferrante e inseparabile della storia di Civita d’Antino dalla meta del 1500 in poi. Uno dei tantissimi anelli di congiunzione e stato, ed in qualche modo e cosi tuttora, il Palazzo Ferrante ove questa famiglia ha vissuto e lavorato nelle persone di decine di discendenti. Una prima e formidabile testimonianza di questo passato e, appunto, il Palazzo stesso, che di per se costituisce un monumento architettonico di grande valore anche se, oggi, non appare in buone condizioni per il suo stato di abbandono. Indivisibile dal Palazzo sono stati i giardini che lo circondavano, chiamati popolarmente per la loro bellezza “giardini vaticani di Civita d’Antino” e sui quali esistono molte e autorevoli testimonianze. Una buona parte di questi giardini, oggi chiamati “La Pista” (ex “Cauta”), furono espropriati ai Ferrante per farli diventare pubblici.

“Grazie agli studi del Letta e possibile conoscere il luogo del foro del municipio antinate, data l’esatta ubicazione delle basi onorarie di statue, che ornavano il foro antico rinvenuto nel Settecento dai Ferrante nell’area dall’attuale Giardino Pubblico…..II foro di età imperiale, ma probabilmente, anche quello di età repubblicana, e quindi ubicabile nel pianoro che si sviluppa intorno al Giardino Pubblico (quota 907), sotto l ‘acropoli. L’area dell’antica piazza doveva quindi comprendere il giardino e il pianoro compreso tra Viale Giardino, Via Vittorio Veneto e Via Guglielmo Florio con probabile pianta rettangolare di metri 50 x 150 ad orientamento nord/nord-ovest, sud/sudest “(18). In questo Giardino si trovano tuttora due delle epigrafi più importanti di tutta questa preziosa documentazione: la base di una statua in onore di Q. Novius Iucundus e un’altra base della statua in onore di Sesto Petronio Valeriano, uno dei “supremi magistrati di Antinum “. L’epigrafe in questo caso e sormontata da un obelisco in cui si distinguono due pezzi (19). Sino a qualche anno fa nel Palazzo c’era una importante Biblioteca risalente la seconda meta del secolo XVIII, piena di volumi preziosi, alcuni molti antichi, sistemati in scaffalature in legno di noce. Per un periodo di tempo questa Biblioteca venne messa a disposizione della Pro-loco, per iniziativa congiunta dei Ferrante e dell’On. Arnaldo Fabriani, ma l’esperimento non fini bene. Si dice che molti volumi sono andati persi, altri rovinati, e il profitto del progetto non raggiunse dei buoni livelli nel rilancio culturale soprattutto delle nuove generazioni. Forse e stato un esperimento mal impostato al di la della buona fede dei suoi patrocinanti. Forse era un idea troppo avanguardista per i tempi che correvano. Forse gli utenti erano immaturi e non furono preparati adeguatamente. Comunque, resta il bel ricordo di un qualcosa tentato coraggiosamente e ciò e gia un passo in avanti.

 Abbiamo già visto un altro ‘pezzo” di inestimabile valore storico religioso del Palazzo: la annessa Cappella “gentilizia” della Santissima Concezione, dalla quale si può accedere direttamente al casato tramite l’epistamio o “coretto”; testimonianza, tra l’altro, non solo della profonda religiosità dei Ferrante, ma di tutti i civitani che per quasi 40 anni ebbero questa Cappella come unico luogo cittadino di preghiera in due momenti dolorosi e critici: dopo che era andata in rovina nel 1762 la Chiesa parrocchiale di Santo Stefano a tre navate, e dopo il crollo della nuova, costruita intorno al 1967, in occasione del terremoto del 1915. La nuova Chiesa, a pianta greca, attualmente esistente sulla Piazza Centrale del paese (detto “Il Banco”) venne costruita 37 anni dopo il cataclisma, nel 1952. Tra tante avvenimenti legati a Palazzo Ferrante, alcuni ci sembrano di singolare importanza. Abbiamo ricordato parlando di Antonio Ferrante, la visita che fece il Re Ferdinando II, il 12 luglio 1832 a questo luogo. Ma, molti altri illustri uomini della politica, delle scienze e della cultura, sostarono in questo luogo, e alcuni di loro portarono a compimento grandi opere di ogni tipo: Richard Keppel Craven (1779-1815) (20), Sir Henry Colt O’Rare (1758-1838) (21) Edward Lear (1812-1888) (22), Teodoro Mommsen (1817-1903) (23), Haval (24), John Chetwode Eustace (1762 1815) (25) ed Edward Dedwell (1767-1832) (26).

Fra tanti ospiti casi illustri, va sottolineata la presenza e il lavoro, e certamente la testimonianza più che autorevole, del pittore danese Cristian Zarthmann, del quale abbiamo gia parlato. In una sua lettera ad un amico, nel raccontare di aver avuto l’incarico di decorare un salone lungo 11 metri, si riferisce ad un dipinto “che le voci, dicono che e originale” del Correggio. Afferma che misura 58 x 68 e si chiama “La Notte”. E’ un documento fondamentale nella storia del Palazzo. Si tratta di una lettera spedita da Civita d’Antino il 17 luglio 1884 in cui possiamo leggere: “Mi occupo di decorazioni come te, la sala da pranzo della famiglia Ferrante. Penso che nessuna stanza in tutta la Danimarca e dotata di ornamenti tanto sontuosi; ma il mio lavoro ne costituisce solo una minima parte. La sala e abbastanza grande, lunga 11 metri. Verrà decorata in stile inizio del secolo con in più motivi rose. Ciò che fa diventare sontuoso il salone e il fatto che ho ricevuto il permesso dai proprietari di prendere i migliori quadri di tutto il palazzo per adornarne questa sala. Il quadro che attira di più 1 ‘attenzione e “La Notte” del Correggio. Le voci dicono che e originale ed io sono di questo parere. E ‘ stato dipinto con un fondo rosso sangue come velluto. E’ di dimensioni 58 x 68 cm. Esso, irradia una luce viva, che brilla e splende come fuoco di artificio. Non ho mai pensato che si potesse arrivare a tanto. A me sembra che il quadro a Dresden (27), regga poco il confronto con questo: qui gli angeli sono di un colore blue grigio freddo, in contrasto con la luce della camera che a prima vista sembra luce di lampadario; i colori dei quadri sono vaghi e profondi, sono leggeri come colori ma profondi, brillanti di verde azzurro come se venissero da un altro mondo. II quadro e più intenso di quello che si conserva a Dresden e somiglia a quel grande pastello dipinto dal Correggio, che e al Palazzo Doria di Roma. Mentre tutti i nuovi elementi sono estremamente esuberanti, la luce e incomprensibile, tremolante e leggera, dando movimento agli Angeli. Questo stile Rococò e cosi incomprensibile e bello in tutto: i confronti della luce su alcuni punti sono cosi forti che e impossibile guardare da vicino, ma a distanza tutto si forma ed appare più chiaro ed io non so perché. E cosi il quadro e incomprensibile, ma in verità e proprio magnifico. E’ il miglior fiore del Rococò “(28).