La singolare storia di Anders Trulson in un libro denso di suggestioni

Un libro riscopre le vicende umane e artistiche dell’artista svedese Anders Trulson, sepolto da un secolo nell’antico cimitero napoleonico del paese della Valle Roveto. Si è spesso ritenuto che l’Abruzzo – salvo rare eccezioni – sia stata una terra esclusa da quel grande fenomeno culturale chiamato Grand Tour, anticipatore del turismo moderno. Ricerche degli ultimi anni stanno di fatto ridimensionando queste convinzioni. Tra queste merita una particolare attenzione la scoperta della singolare storia della scuola dei pittori scandinavi che a fine ottocento si era insediata in un paese della Valle Roveto, Civita d’Antino, attorno alla singolare figura di Kristian Zahrtmann, affermato pittore danese, seguito anche in Abruzzo per una trentina d’anni da numerosi allievi provenienti dai vari paesi scandinavi. 

Nel vecchio cimitero di Civita d’Antino, abbandonato negli anni quaranta, una lapide in bronzo riporta un nome, Anders Trulson, con l’indicazione dell’anno di nascita 1874 e di morte 1911. La tomba del pittore svedese, insieme ad altre lapidi con le sole iniziali, rappresentano una delle tracce tangibili presenti nel piccolo paese di un periodo esaltante per la scuola artistica impiantata nell’ultimo quarto dell’Ottocento dal maestro danese Kristian Zahrtmann in Abruzzo. A distanza di un secolo dalla sua scomparsa, un libro dal titolo “Anders Trulson è qui”, edito da D’Abruzzo-Menabò, scritto da Antonio Bini e Sergio Bini. Il primo ricostruisce la storia del giovane pittore svedese, già affermato nel suo paese, quando ritorna in Italia nell’estate del 1911, insieme al suo vecchio maestro Zahrtmann e altri artisti. Trulson, gravemente malato, continua a lavorare intensamente fino alla morte, circondato dall’affetto degli altri pittori scandinavi, della proprietari della pensione e degli abitanti del paese abruzzese.

Le ricerche della sua tomba portano a scoprire il vecchio cimitero monumentale di Civita d’Antino, abbandonato oltre settanta anni fa. Un’opera assai singolare, pressoché unica nella storia dell’architettura cimiteriale, eppure dimenticata, avvolta nell’oblio come lo stesso paese. L’affascinante interpretazione della sua simbologia è sviluppata da Sergio Bini. Il libro è completato dalla testimonianza di Zahrtmann, che volle allora pubblicare su una rivista svedese. Tra le curiosità è interessante scoprire come l’Abruzzo fu presente nella grande esposizione internazionale d’arte organizzata a Roma nel 1911, in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia, attraverso le opere di Zahrtmann e alti artisti della sua scuola, tra cui lo sfortunato Trulson.

Il taglio del racconto è quello di tentare di spiegare l’oblio che ha portato a dimenticare Civita d’Antino dopo il terremoto del 1915 e con essa l’incredibile storia della colonia artistica scandinava le cui tracce sono diffuse in numerosi musei scandinavi.

Anders Trulson è qui- Breve storia del pittore svedese rimasto per sempre tra le montagne abruzzesi  (Recensione di Gabriella Albertini pubblicata sulla Rivista Abruzzese, storico periodico culturale -rassegna trimestrale di cultura, n. 4, ottobre-dicembre 2011- )

Antonio Bini dal 2003 conduce una indagine sottile e originale nello studiare particolari avvincenti e poco noti, che riguardano la regione Abruzzo. È lo stesso Bini a raccontare con chiarezza nella pubblicazione Anders Trulson è qui- Breve storia del pittore svedese rimasto per sempre tra le montagne abruzzesi, come nacque in lui il profondo interesse, che attualmente lo porta a impegnarsi nella ricerca di alcune storie criptiche, ma tenacemente legate a quelli che sono stati i valori, le capacità, gli impegni nella vita di alcuni artisti. Non è facile ricostruire da pochi elementi l’attività di pittori, dei quali fino a poco tempo addietro si conosceva poco. Si tratta della “scuola artistica” (così definita dall’autore) costituita nell’ultimo quarto del XIX secolo dal maestro danese Kristian Zahrtmann a Civita d’Antino, paese montano nella Valle Roveto, in Abruzzo. Bini in precedenti pubblicazioni ha tracciato la storia di questo originale, insolito gruppo di pittori, che scesero dal nord Europa e trovarono in un piccolo centro (quasi sconosciuto) dell’Italia Centrale il luogo ideale per svolgere il loro lavoro: luce, colore, felici tagli prospettici, paesaggio incontaminato, spontanei atteggiamenti degli abitanti, costumi e altro.

 Nella presente pubblicazione l’attenzione è rivolta a uno dei componenti il gruppo culturale: Anders Trulson. Si tratta di un pittore nato nel 1874 a Tosterup in Svezia e morto nel 1911 a Civita d’Antino dove è stato sepolto nel cimitero acattolico, dopo essere stato cremato. La sua tomba è indicata da una lapide in bronzo, lievemente decorata, con l’indicazione dell’anno di nascita e quello della fine terrena. Con sottile malinconia e lucido pensiero, viene tracciata l’esistenza del giovane pittore nel contesto del suo tempo e dell’ambiente, in cui visse. Suscitano interesse le pagine in cui si parla dell’Abruzzo, della presenza artistica di Trulson in Italia (partecipazione al cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia), della madre, e delle significative testimonianze rilasciate dalla scrittrice Amalie Posse e dalla principessa Mery Despina Karadja, anch’ella svedese e letterata. Bini, nei capitoli Chi era Anders Trulson, Anders Trulson all’Esposizione Internazionale di Roma del 1911, Anders è qui: nella memoria di Civita d’Antino, presenta il temperamento del pittore, che sembra impersonare il vero artista romantico: sofferente, creativo, dedito al lavoro, malato di tubercolosi. Il capitolo Alla ricerca della tomba di Trulson è firmato da Johan Werkmäster, il giornalista e scrittore che nell’estate del 2003 venne in Italia per recarsi a Civita d’Antino e cercare, appunto, la sepoltura di Trulson. In tale circostanza Werkmäster conobbe Antonio Bini, allora dirigente del MIUR e della Regione Abruzzo. Insieme, nel cimitero abbandonato, trovarono quanto, con trepida speranza, cercavano. Il testo intitolato Il “vecchio” cimitero napoleonico di Civita d’Antino è stato redatto da Sergio Bini che descrive l’antico cimitero napoleonico soffermandosi sul valore della “continuità”. Tra l’altro si legge: “Esso costituisce una parte di quel patrimonio indisponibile della comunità della storia, della cultura e dei valori che generazioni di persone semplici hanno voluto tramandare ai propri figli ed ai figli dei propri figli”. Bini prosegue proponendo altri passaggi a cui non è estraneo l’eterno tormento di sapere che cosa c’è oltre il nostro “io”.

 Da questo scritto si apprende soprattutto la possibilità di apprezzare i vari contenuti di un elemento architettonico, come il cimitero. Egli esamina la struttura del “vecchio” cimitero di Civita d’Antino; inizia da un concetto ripreso da L’Antologia di Spoon River di Edgard Lee Masters, successivamente riflette su un pensiero di Kahlil Gibran, che rappresenta la vita come un viaggio perenne di cose invisibili all’interno di città reali e, a volte, viceversa. Nell’esposizione del concetto si vale di altri spunti letterari, come nel caso del riferimento al libro Le città invisibili di Italo Calvino. Ancora tante memorie, documenti, descrizioni, considerazioni sul “riposo eterno”, e inoltre la lettura semiotica dei simboli, la “numerologia” nella struttura cimiteriale, la descrizione dell’edificio e, infine, la presenza dell’ hortus conclusus, il cui spazio, in questo caso, è destinato ad accogliere gli ospiti “non cattolici”. Nel “giardino delle memorie laiche”, rispettosamente illustrato da Sergio Bini, si trova la tomba di Anders Trulson, indicata da una lapide, di cui si è fatto cenno poco sopra, realizzata da un grafico svedese, Louis Nillson, amico del defunto. Il luogo indicato ospita anche due stranieri morti a Civita d’Antino. Si tratta dei coniugi Heugh, solo recentemente identificati. Sergio Bini invita a riflettere sulla significativa frase scritta in italiano : “Io fui forestiere e voi mi accoglieste”. Nella conclusione si fa cenno all’importante funzione che assume il cimitero nei confronti di chi lo frequenta in vita. Si consideri la frase “Vado a trovarli”: sembra che il beneficiato sia colui che compie l’atto di andare a “trovare qualcuno”, di cui restano le sole spoglie. Argomento lungo e sensibile da trattare!.. Gli articoli fin qui citati sono corredati da note esplicative, sapientemente compilate. L’Appendice comprende due saggi. Il primo L’ultima estate a Civita d’Antino riporta la testimonianza del periodo finale di Anders Trulson, affidato alla penna di Kristian Zahrtmann, edito sulla rivista svedese “Ord och Bild” nel 1914. L’altro brano dal titolo: Anders Trulson di Ewert Wrangel, traccia una biografia essenziale e toccante del giovane pittore. L’articolo venne pubblicato nel 1912. Ogni capitolo è proposto in due lingue. I traduttori sono: Monika Kugler e Roberta di Fabio, dall’inglese all’italiano, Gennaro de Luca, dallo svedese all’italiano, Monica Fagnano, dall’italiano all’inglese. Il testo si avvale di alcune fotografie in bianco e nero. La lettura è scorrevole, carica di sentimento, rivelatrice di “cose” nuove, valida per la preziosa conservazione della memoria.