Palazzo Ferrante

La storia dei Ferrante e dell’antico Palazzo. La famiglia Ferrante dal XVI secolo, e parte importante ed ineludibile della storia politico culturale nonché economico sociale di Civita d’Antino. In questo periodo, procedente da Valmontone, arriva il capostipite della casata: Domenico Ferrante, il quale, “verso la seconda meta del 1500 abbandono Valmontone, a seguito di forti contrasti con le autorità pontificie di quel paese, e, “valicando le montagne che dividevano lo Stato Pontificio dal Regno delle Due Sicilie, si fermò prima a Rendinara e subito dopo a Civita d’Antino, dove cominciò ad acquistare dei beni. 

Da allora molte generazioni, tra cui illustri giuristi, archeologi, canonisti, medici, religiose, prebisteri, prelati, uomini politici, alti funzionari dello Stato, si sono succeduti da padre in figlio legando a Civita d’Antino, in non pochi casi, la propria vita e la propria opera. Di ciò, oggi, oltre alle testimonianze della storia, fisicamente, rimane ancora un monumento importante; un altro testimone muto tra i tanti che sopravvivono in questo luogo, e cioè, il Palazzo Ferrante: “casa che attraverso diverse generazioni” divenne l’attuale edificio che si trova nel cuore del paese. Dalle sue stanze, mal ridotte dal terremoto del 1915 e dal passare dei decenni, viene fuori ancora un grande passato di cultura, di storia e di notizie riguardanti la vita di queste popolazioni. Il poeta danese Giovanni Joergensen, che raggiunse il paese subito dopo il terremoto del 1915, sul Palazzo Ferrante ha scritto questa testimonianza quando racconta lo spettacolo che la loro carovana con aiuti vide mentre saliva: “La signora Graziuccia seduta in silenzio accanto a me, addita ad un tratto, in alto a sinistra, un importante edificio ruinato: e la Villa Ferrante, il primo segno della prossimità di Civita …… Ma ancora un ultimo giro attraverso Civita d’Antino, fino al giardino del Palazzo Ferrante. Nell’ aristocratico parco, tra le romantiche siepi da bosco, sono state drizzate tende e baracche. Vari fuochi sono accesi, e tutto intorno fanno ghirlanda piccoli gruppi: almeno la legna non manca per riscaldare un poco quella povera gente! (2). In questo libro, per ragioni di spazio e di sintesi, non possiamo parlare di tutti i Ferrante. Alcuni, tra l’altro, hanno aperto e chiuso diversi rami della famiglia in altri luoghi: Roma, Alvito, Civitella Roveto e Morino (3). Abbiamo scelto coloro che sono stati più legati direttamente alla vita quotidiana dei civitani e della cui opera rimane un ricordo e una testimonianza. Ci sarebbe piaciuto molto parlare anche di altre “antichissime famiglie come ricorda l’Abate Don Giovanni Fabriani in riferimento, ad esempio, ai Panella, ai Di Curzio, ai Di Muzio e ai Gigli., cosi come sugli stessi Fabriani o altri, ma non è stato possibile reperire facilmente sufficiente documentazione. Sappiamo che esistono alcuni documenti, come per esempio, le “Memorie” dell’Abate Fabriani, che sarebbero il punto di partenza per un’ulteriore ricerca approfondita. Per ora quest’idea resta un bel compito per il futuro, per altri autori, o magari per un Archivio cittadino del quale si sente il bisogno.

La Casa Ferrante. Subito dopo l’arrivo da Valmontone del capostipite Domenico, e l’ora del figlio: Ferrante Ferdinando Ferrante, morto alla fine del 1661, qualche mese dopo la morte del proprio figlio Pietro, deceduto a soli 51 anni nel maggio del 1661. Il Ferrante Ferdinando, agli inizi del 1600, dono alla Chiesa Convento di Santa Maria Maddalena, oggi scomparsa, un altare dedicato alla Santissima Concezione con un grande dipinto attribuito al pittore napoletano Pietro Stanzione (1585-1656) e “prospiciente l’Altare fece costruire la tomba gentilizia della famiglia”. Il sacerdote Stefano Ferrante (1645-1720), fece costruire, adiacente il Palazzo della famiglia, la Cappella “gentilizia” dedicata a la Santissima Concezione, verso i primi anni del 1700 e, ciò, accadde dopo che il prebistero prese atto che la vecchia Chiesa Convento di Santa Maria Maddalena, ove suo nonno aveva lasciato i “sacri doni” dell’altare e del dipinto, era andata definitivamente in rovina. Sappiamo che almeno sino al 1663, data della visita di Mons. Maurizio Piccardi, Vescovo di Sora, c’era ancora la Chiesa Convento di Santa Maria Maddalena. La sua progressiva scomparsa e rovina va collocata in data posteriore ma non si conosce con precisione quanto tempo dopo. Nel Novembre 1711 “tutto e macerie”, come risulta dalla relazione della visita pastorale del Padre Pietro Parente e dell’Abate Nicola Celli. L’altare e il dipinto furono traslocati nella nuova Cappella “gentilizia”, dove si trovano attualmente e che dal loro contenuto religioso, dedicato alla Santissima Concezione, questa Cappella prese il nome. Sotto l’altare, più tardi, agli inizi del 1800, vennero sistemate le spoglie di San Lucio martire, date in “patronato” da Papa Pio VII ai Ferrante. Sarà il sacerdote Giuseppe Ferrante (1682-1754) ad ottenere da Papa Clemente XII, nel 1735, il “riconoscimento di altare privilegiato per la Cappella della S.S. Concezione” (7). Filippo Ferrante (1687-1781), come risulta dalla lapide collocata nel 1761 nella Cappella, procedette ad ordinare lavori per ingrandire questo sacro luogo e decise “con autorità di giudice ordinario, che ogni mese venissero celebrate cento messe per se ed i suoi e cento per i defunti (8). Aniceto Ferrante (1823-1883), fu Vescovo di Gallipoli e di lui resto per sempre il ricordo di essere stato “uno scrittore illustre”. Subito dopo la meta del XVIII secolo compaiono due Ferrante tra i più rinomati: Domenico (1752 1820) e Francesco (1755-1815), ambedue archeologi. Al primo, Civita d’Antino, dopo ciò che fece il Febonio molti anni prima pi, deve buona parte della conoscenza di alcuni importanti momenti e monumenti della sua grande storia passata; mentre lo stesso accade a Luco dei Marsi con il secondo.

Infatti, Domenico e considerato il “primo archeologo di Civita d’Antino “, scopritore di gran parte della documentazione epigrafica che poi studio, decifro e classifico Teodoro Mommsen (9) mentre Francesco e considerato, invece, lo scopritore dell’antica Angizia. Nel caso singolare di Domenico, va ricordato un particolare essenziale per Civita d’Antino, e cioè il fatto che il prete e avvocato Domenico De Sanctis, abbia potuto scrivere, senza aver mai visitato il Paese, la sua “Dissertazione Terza. Città e Municipio ne’ Marsi”, nel 1784, attingendo notizie e dati precisamente da Domenico Ferrante. Nella riduzione che fece di quest’opera classica per i civitani l’Ingegnere Francesco Di Cesare, leggiamo: “Quelli che qui abbiamo menzionato sono i Magistrati ed i Collegi del Municipio Antinate rammentati da questi marmi. Forse un giorno, se vedranno la luce altre lapidi antiche ora sepolte, si avranno notizie di altre Cariche, di altri Sacerdozi e di altri Collegi. Se dopo tanti secoli torna a rivivere nella memoria degli uomini questa Città e Municipio dei Marsi, e solo per opera di un nobile suo cittadino, il sig. Domenico Ferrante, che mosso dal suo bel genio erudito non risparmio ne fatica ne spesa nel ricercare, disseppellire, trasportare e riunire nella sua casa, dove oggi si conservano questi preziosissimi monumenti della sua Patria. Serva il suo buon gusto di esempio ad altri nobili Marsi nel rintracciare e conservare le antiche memorie della loro Patria e Nazione. Calchi infine il piccolo Filippo Ferrante le orme di questo zio paterno, affinche facendo un giorno anch’egli nuove ricerche possa ancor più confermare guanto l ‘ autore di questa dissertazione, suo prozio materno, ha avuto modo di raccogliere su questa Antica Città e Municipio d’Antino (11). Dell’immane opera sia di Domenico che di Francesco, altri due grandi archeologi, il Premio Nobel per la letteratura 1902, Theodore Mommsen e il gesuita Raffaele Garrucci, si esprimo con parole di elogio e ammirazione e non risparmiano nulla per sottolineare il contributo che loro diedero alle scienze storiche in generale. Il Garrucci, in particolare, riferito a Francesco, ricorda che si deve “a lui la notizia e le varie copie della celebre lamina posseduta tuttora dall’Onorevole ed eruditissimo Signor Antonio Ferrante ” ..

Evidentemente si parla della lamina in bronzo conosciuta come il “Magistrato di Venosa” (“Pacujo Medis o Medixtuticus”) che si trova attualmente nel Museo del Louvre a Parigi, dove finì dopo la sua scomparsa dal Palazzo Ferrante. Alcuni testi affermano, senza esibire documenti che lo attestino, che questa lamina sarebbe stata venduta dai Ferrante ai Colonna e questi l’avrebbero venduta al Louvre. Invece, Antonio Ferrante, nel suo libro del 1977, scrive: “Da ricerche fatte effettuare da me, recentemente, al Louvre risulta che la iscrizione e stata venduta al Museo il 30 giugno 1897 “da parte di un certo Canessa e il luogo del rinvenimento della stessa e Antinum ‘ (13). Oltre alla sua attività scientifica come archeologo, Francesco, discopritor d’Angizia “, come lo definisce il Guattani (14), e legato particolarmente alla Cappella della Santissima Concezione, poiche egli e anche la persona alla cui il Vicario Generale del Papa, Benedetto Ferraia, (Patriarca Costantinopolitano, facente le veci del Cardinale Giacinto Ponzetti, custode della Sacre Reliquie ), con la Bolla del 16 Aprile 1806, dono ai Ferrante sottoforma di “patronato” le sacre spoglie di San Lucio martire, che l’11 aprile del 1804, per volontà del Papa Pio VII, erano state estratte dal cimitero di S. Priscilla in Roma,Via Salaria.