Civita d’Antino vista dal Nord (La Domenica d’Abruzzo)

Deve essere stata una stagione luminosa in un’isola felice, quella della Scuola di Zahrtmann a Civita d’Antino, fin troppo idilliaca per continuare a vivere e per poi sopravvivere nitida nella memoria collettiva. Dev’essere stato un cenacolo affiatato, intellettuale e romantico che ha lasciato un segno forte nei protagonisti e tracce indelebili, seppur nascoste, in un angolo ormai remoto della nostra regione. All’incirca nello stesso periodo, con la combriccola artistica ospitata da Michetti, l’Italia “corse il rischio di diventare abruzzese”, secondo il Dizionario dell’Omo Salvatico (1923), invece la lunga tappa del Grand Tour italiano di alcuni artisti danesi, svedesi e norvegesi, primo fra tutti Kristian Zahrtmann (1843-1917), nel borgo della Valle Roveto tra il 1883 e il 1915, fece correre il rischio di vedere monopolizzata la migliore pittura scandinava dell’epoca da paesaggi e soggetti abruzzesi (pensiamo alla mostra Civita d’Antino dei pittori danesi allestita nel 1908 presso il Kunstforeningen di Copenhagen).

A riproporre l’argomento, poco conosciuto, sono due recentissime pubblicazioni. Da un lato il catalogo (Lettere da C. d’A.) voluto dall’Associazione Culture Tracks e dalla Fondazione Pescarabruzzo in cui si raccolgono le lettere scritte da Zahrtmann durante quei lunghi soggiorni – seguito a una mostra del 2009 presso la Maison des Artes di Pescara (Il lungo viaggio dal nord), che di fatto rispolverò la notizia, e seguito poi all’acquisizione da parte della Fondazione di una ventina di dipinti scandinavi sull’Abruzzo –; dall’altro lato un libriccino ben curato, edito da D’Abruzzo-Menabò a firma di Antonio e Sergio Bini, intitolato Anders Trulson è qui, nel quale s’indagano la figura e la vicenda del pittore svedese “rimasto per sempre fra le montagne abruzzesi”, morto di tubercolosi a Civita d’Antino nel 1911, dopo dieci settimane di permanenza, e là sepolto nell’antico e abbandonato cimitero napoleonico, immortalato tra l’altro nel 1914 da Thomas Ashby.

La storia di Trulson si intreccia continuamente con quella di Zahrtman e di tutti gli altri pittori scandinavi che seguirono, da allievi e colleghi, il maestro danese a Civita d’Antino – Knud Sinding, Joakim Skovgaard, Poul Christiansen, Hjalmar Sørensen, Daniel Hvidt, Lars Jorde, Karl Isakson, Carl Butz-Møller, Gad Clement, Peter Hansen e molti altri – magari solo per una sosta prima di proseguire in altre località abruzzesi, come testimoniano gli stemmi dipinti in una stanza di Casa Cerroni, la pensione dove gli artisti soggiornavano. Un secolo prima di loro, però, si erano spinti in questa terra allora largamente intonsa altri pittori conterranei, come Jakob P. Hackert, Abraham L. R. Ducros e Hjalmar Mӧrner, fino a Peder S. Krøyer che, invece, soggiornò nella vicina Sora, da cui Zahrtmann si mise in cammino per scoprire l’incontaminata Civita d’Antino, suggerito a Roma da un suo giovane modello, Ambrogio, originario di quel paesino. I pittori scandinavi non erano del tutto nuovi al panorama artistico italiano: già nel 1895 Krøyer, Skovgaard, Zahrtmann e Trulson parteciparono alla prima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, vinta da La figlia di Jorio di Michetti, e ripeterono la partecipazione nel 1911 all’Esposizione Internazionale di Roma.

Ma quella scuola di pittura “dal vero” che si formò attorno a Zahrtmann a Civita, resta un punto di riferimento se, come ricorda Antonio Bini, la storica dell’arte Hanne Honnens de Lichtenberg, la pittrice Kirsten Murhart e Nils Gӧsta Sandblad, studioso di Trulson, hanno ritenuto più volte che il borgo abruzzese, con il suo panorama, la sua luce, le sue tradizioni, ha avuto un ruolo fondamentale e una certa influenza nello sviluppo dell’arte danese. E tanto importante risultava quell’esperienza da richiamare successivamente in Abruzzo, ormai finito l’idillio della Scuola di Zahrtmann a causa del devastante terremoto del 1915 che colpì con conseguenze irreversibili la stessa Civita d’Antino, altri artisti, intellettuali e viaggiatori scandinavi, come Johannes Jørgensen, di cui si ricorda il racconto Civita d’Antino, e Amelie Posse, che ne parla nella sua raccolta di prose Further. Da ultimo, nel 2003, si è messo sulle tracce di Trulson e della Scuola – nonché su quelle dello scrittore conterraneo Pär Rådstrӧm che nel 1961 scrisse a Giulianova il suo fortunato romanzo Il Colonnello – il giornalista svedese Johan Werkmäster, amico di Antonio Bini. Oggi, se il giovane Trulson riposa, ormai ritrovato, nell’hortus conclusus dell’antico cimitero di Civita, la memoria di Zahrtmann, non solo per targhe e intitolazioni, resta nel cuore degli abitanti, perché questo celebrato artista si adoperò sempre, dal primo incontro, per il borgo che aveva dato ispirazione e corpo a molte sue opere. Assieme al noto architetto danese Martin Nyrop, si occupò di abbellire il paese – la cui unica nota di “colore” era l’antico palazzo gentilizio dei Ferrante – con interventi migliorativi dell’aspetto urbano, impegno che gli valse, dal 1902, il riconoscimento della cittadinanza onoraria e la presidenza onoraria di una delle prime proloco italiane, la Pro-Antino, fino a quando andò via, battezzando però il suo atelier-abitazione di Copenhagen “Casa d’Antino”.

Ma anche dopo la morte Kristian Zahrtmann, mediante testamento, continuò ad aiutare la popolazione disponendo che fosse istituito un fondo, con la donazione di 15000 Corone, i cui interessi dovevano essere distribuiti annualmente agli indigenti come sussidio invernale. L’ultimo bel gesto di quel “Signor Cristiano” venuto coi suoi seguaci, da così lontano, a far quadri che avrebbero salvato per sempre – dal terremoto, dalla decadenza e dall’oblio – le espressioni più significative di una porzione d’Abruzzo.

Giorgio D’Orazio ( La Domenica d’Abruzzo 19/11/2011 Tutti i diritti riservati)